Prendo spunto, per continuare sulle tematiche portate avanti dal sociologo Zygmund Bauman, da una sua intervista rilasciata a inizio anno su “el pays”, ma non solo.
Il dialogo, ha specificato il sociologo in una ulteriore intervista, è “insegnare a imparare. L’opposto delle conversazioni ordinarie che dividono le persone: quelle nel giusto e quelle nell’errore”.
“Entrare in dialogo significa superare la soglia dello specchio, insegnare a imparare ad arricchirsi della diversità dell’altro. A differenza dei seminari accademici, dei dibattiti pubblici o delle chiacchiere partigiane, nel dialogo non ci sono perdenti, ma solo vincitori”, e pensare che delle diversità ne abbiamo una istintiva Paura anche se negata dai più.
“È la vera rivoluzione culturale rispetto a quanto siamo abituati a fare ed è ciò che permette di ripensare la nostra epoca. L’acquisizione di questa cultura non permette ricette o facili scappatoie, esige e passa attraverso l’educazione che richiede investimenti a lungo termine. Noi dobbiamo concentrarci sugli obiettivi a lungo termine”.
E parliamo allora delle reti sociali, che, pur avendo cambiato in buona misura le forme tradizionali dell’attivismo sociale, sembrerebbero un sostituto della formazione di comunità autentiche, e autentiche non lo sono proprio; Ma neppure quelle reali che agonizzano: non si sa più cosa siano. C’è un equivoco a mio avviso, se interroghi le persone, queste sostengono che Facebook o Instagram e simili, sono delle comunità: perchè sono gruppi di persone con uno scopo. Forse oggi facciamo fatica a capire cosa la comunità sia veramente. L’attivismo online, sempre per Bauman, è un “attivismo da sofà” e Internet la maggior parte delle volte non fa che “addormentare con intrattenimento a basso costo”.
Il giornalista gli ha quindi chiesto se le reti sociali, parafrasando Marx, non siano il nuovo “oppio dei popoli”. Bauman non ha esitato a rispondere che l’identità, come le comunità, non è qualcosa che si debba creare, ma qualcosa che “si ha o non si ha”.
“Quello che le reti sociali possono creare”, ha segnalato il sociologo, “è un sostituto. La differenza tra la comunità e la rete è che tu appartieni alla comunità ma la rete appartiene a te. Puoi aggiungere amici e puoi cancellarli, controlli la gente con cui ti relazioni. Nelle nostre realtà non puoi sceglierti i tuoi colleghi, nè compagni di banco o amici nelle associazioni di appartenenza. La gente si sente un po’ meglio perché la solitudine è la grande minaccia in quest’epoca di individualizzazione e frammentazione. Ma nelle reti aggiungere amici o cancellarli è così facile che non c’è bisogno di capacità sociali”, se non ti piace quello che uno dice, semplicemente lo elimini e non ti confronterai più con lui; semplice.
Queste ultime, ha segnalato Bauman nell’intervista, si sviluppano nel contatto quotidiano umano diretto, in spazi condivisi, sia pubblici che privati: per strada o nell’ambiente di lavoro, in cui è necessaria un’interazione “ragionevole” con la gente; insomma, in interazioni che esigono dialogo, negoziato e apertura.
Personalmente non demonizzerei, la realtà al solito è più complessa, più sfaccettata: i social sono uno strumento e come tale lo si deve considerare. Posso così utilizzare i social per scopi nobili oppure no, posso prenderli seriamente oppure utilizzarli per divertirmi o svagarmi. Le trappole ci sono, innumerevoli e insidiose e gli uomini e donne di cultura le devono evidenziare perchè sono le sentinelle del nostro tempo.