Mi piace parlare e scrivere di tecnologia: mi affascina e mi preoccupa ad un tempo. Mi affascinano, non tanto le innovazioni mirabolanti che magari poi non risultano essere all’altezza delle nostre aspettative o non così utili non rispondendo a bisogni reali ma indotti; Quanto le potenzialità che offre, remore e pregiudizi a parte. Ricordo qualche anno fa, che qualche buontempone aveva pubblicato un sito dove descriveva con una documentazione ricca e quasi credibile, l’imminente lancio sul mercato di una auto completamente autonoma, che poteva addirittura parcheggiare dopo aver raggiunto la meta; ebbene, diversi non vedenti, avrebbero già mandato la prenotazione per l’acquisto, se nessuno li avesse messi in guardia. Mi preoccupano i risvolti sociali, la vita che cambia molto più velocemente di quanto noi si possa metabolizzare. Seguo con interesse le nuove opportunità offerte a molte persone per liberare risorse che altrimenti non potevano essere espresse. Mi riferisco a diverse tipologie di disabili che ora potrebbero essere in grado di svolgere mansioni che anni fa non avrebbero neppure immaginato. Sono nel contempo preoccupato per la pigrizia mentale che le tecnologie induce, per l’impiego sempre meno massiccio della nostra memoria, per la costante distrazione e perdita di tempo che gli smartphones induconno, per il numero sempre più elevato di persone che restano tagliate fuori, per la solitudine provocata dai social. Il rischio è alto: ma voi lo sapete quale è l’anagramma della parola tecnologia? Ecco, se non risponderà a bisogni reali, la tecnologia rischia di essere una serie di cose come quell’anagramma.