Costanza, assiduità, perseveranza, stabilità, tenacia, saldezza, fermezza; e ancora: accanimento, ostinazione, pervicacia, continuità, coerenza e molti altri termini. Tutte accezioni che indicano il fermo proposito nel mantenere un impegno, di ripetere un atteggiamento o una situazione, generalmente in prospettiva di un risultato da conseguire.
Ma, come la mettiamo se noi non siamo così costanti? Il crogiuolo di contraddizioni che ci caratterizza, l’irrequietezza di cui siamo autentici campioni, mi inducono a ritenere che costanti non lo siamo proprio. La nostra instabilità è proverbiale e, forse in linea di massima è meglio così. La mutevolezza alla fine è un adattamento, una condizione necessaria per resistere, per riciclarsi, tentare nuove vie.
È anche vero però che il risultato è determinato si da una dote innata che si può avere, ma una grossa componente è data proprio dalla costanza. Ricordo bene quante volte ho dovuto ripetere le mosse di judo per acquisirle in automatico, e con quanta disciplina ho dovuto ripetere le materie giuridiche in vista di un esame. Come si conciliano dunque i 2 aspetti: costanza o incostanza? Decisamente l’elemento catalizzatore, il motore, la molla, è la passione. è lei che ci rende folli, irrazionali: se ci appassioniamo, ogni mezzo è utile e lecito pur di conseguire uno scopo, pur di raggiungere la Meta. Alla passione, al suo potere e fascino, vorrei dedicare un altro ennesimo elogio;
ma, riprendiamo il tema Costanza. Si tratta di una vera e propria dote che hanno i campioni, le persone speciali e, infatti, la costanza premia sempre chi la pratica. Il pianista percorre imperterito la tastiera del suo piano per ore, l’atleta percorre lo stesso percorso, la stessa vasca in piscina mostrando una disciplina fuori dal comune. La componente della dote innata esiste ma, se non fosse supportata dalla costanza, andrebbe irrimediabilmente sprecata. Capaci si quindi, ma costanti perchè ogni dote va opportunamente allenata.