CHI SONO GLI AUDIODESCRITTORI? INTERVISTA AD ALESSANDRA NOVELLI

Già ho trattato l’argomento audiodescrizione in un precedente articolo del blog, inserendo anche un video sul canale youtube per darne una breve dimostrazione, ma vorrei approfondire l’argomento.
Ho avuto la fortuna di incontrare Alessandra che si definisce appunto una audiodescrittrice:
D: cosa fa un audiodescrittore e quale è stato il percorso per diventarlo.
R: Caro Valter, intanto ti ringrazio per l’interesse e per il tuo impegno nel voler diffondere anche quest’aspetto dell’accessibilità su cui si sta cercando di lavorare molto. Da qualche tempo, appunto, mi occupo di audiodescrizioni. Tuttavia, ammetto che mi fa ancora specie definirmi “audiodescrittrice” perché ogni prodotto ti pone davanti a sfide nuove e in questo lavoro non si finisce mai di imparare. Volendo provare a riassumere in poche parole cosa fa un audiodescrittore, direi che si occupa di rendere accessibile dei contenuti alle persone cieche e ipovedenti. Ho parlato di “contenuti” in modo generico perché esistono diversi tipi di audiodescrizione: quella filmica, quella museale, quella teatrale… L’obiettivo primario di questa disciplina, di questa tecnica, è appunto quello di tradurre le immagini in parole. Come dice Joel Snyder, uno dei massimi esperti nel settore, “the visual is made verbal”. Io nello specifico per ora ho lavorato su alcuni prodotti televisivi seriali e su un lungometraggio. In ambito audiovisivo, l’audiodescrizione è una traccia vocale che si aggiunge al prodotto originale, che descrive la scena in atto inserendosi nelle pause tra i dialoghi e i rumori significativi. Mi trovo sempre un po’ in difficoltà quando devo provare a spiegare ad amici e conoscenti cosa sia l’audiodescrizione, perché lo stupore è sempre dietro l’angolo! Si fa un po’ fatica a pensare in primis che i ciechi e gli ipo possano essere interessati a un’esperienza così visiva, come potrebbe essere la visione di un film, e una volta superato quell’ostacolo mi trovo spesso a spiegare anche le dinamiche interne del mio lavoro. La domanda che sorge spontanea di solito è “Ah, ma quindi tu registri la voce…?”. Ecco, no. Rendere accessibile un film è frutto di un lavoro sinergico e complesso, realizzato da diverse professionalità. Io, nel mio piccolo, mi occupo della stesura dell’audiodescrizione ovvero della scrittura del testo, composto da diverse “stringhe” (segmenti) di audiodescrizione associate a specifici time code. Le stringhe redatte da me o dai miei colleghi vengono poi registrate da speaker professionisti che danno appunto voce alle nostre parole.
Il profilo professionale come il percorso formativo dell’audiodescrittore è ancora oggetto di studio e definizione. Ci sono appunto diverse ricerche in atto in Italia e in Europa che mirano a definire questa professione, quali siano i requisiti e quale la formazione. Io arrivo da un percorso di studi di stampo linguistico: mi sono laureata in Scienze della Mediazione Linguistica a Torino e successivamente ho conseguito il diploma di Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale. Essendo l’audiodescrizione uno dei tipi di traduzione audiovisiva nel contesto dell’accessibilità (insieme, tra gli altri, alla sottotitolazione per sordi), ho avuto la fortuna di studiare audiodescrizione durante il master, con docenti e professionisti del settore. Tuttavia, il primo contatto (e anche la prima occasione di formazione) è avvenuto durante un corso formativo di accessibilità ai prodotti audiovisivi svoltosi a Torino. Mi ero iscritta inizialmente soprattutto per la parte dedicata alla sottotitolazione per sordi (oggetto della mia tesi triennale) ma, studiando audiodescrizione, ammetto di aver veramente scoperto un mondo. Successivamente ho voluto approfondire lo studio della materia nella mia tesi di master e ho poi partecipato a un corso di resa accessibile in ambito teatrale a Milano. Il valore aggiunto di queste due esperienze formative è stato senza dubbio il tirocinio: abbiamo avuto la fortuna di lavorare rispettivamente a un film e a uno spettacolo teatrale e, assistere alla resa accessibile e alla visione in sala, insieme a sordi, ciechi e ipovedenti è stato qualcosa di davvero emozionante.

D: Cosa si cura in una audiodescrizione, sia da un punto di vista tecnico che concettuale! In pratica, cosa andrebbe sottolineato in una audiodescrizione perché sia efficace per un non vedente che a questa si affida.
R: Questa è un’ottima domanda! Nonostante in Italia non esistano ancora delle linee guida ufficiali condivise dalle diverse realtà che si occupano di AD, gli studi e le buone prassi a livello europeo e mondiale insegnano che la traccia descrittiva deve, appunto, descrivere le immagini al fine di rendere a parole la stessa sequenza vista da uno spettatore vedente. Purtroppo e ovviamente le immagini non si possono descrivere nella loro totalità e quindi è necessario priorizzare i vari elementi visivi, scegliendo e descrivendo quelli che veicolano meglio il significato del film. Il principio chiave è di quello di tradurre in parole ciò che si vede e con lo stesso ritmo con cui lo spettatore vedente recepisce e comprende un’informazione. Se, ad esempio, nella prima scena di un film vi è un personaggio vestito con dei jeans e una maglietta rossa e non parla, nella scena successiva che lo vedrà protagonista dovrò sfruttare un elemento utilizzato nella prima descrizione per fornire al cieco/all’ipo la possibilità di riconoscerlo al pari di un vedente, in mancanza dell’aiuto della voce stessa del personaggio, dicendo: “Sopraggiunge l’uomo con la maglietta rossa.” Questo è un piccolo esempio ma calza a pennello per far capire la parità di ritmo e di comprensione che lo spettatore vedente e non vedente devono avere.
Una cosa che mi aveva stupito, all’inizio, era l’utilizzo dei colori e di alcuni dettagli molto specifici che ci venivano richiesti nei primi esercizi, come l’età. Si sconsiglia infatti di utilizzare i termini vaghi, anche e soprattutto per l’età (come “un uomo giovane, un uomo di mezza età”), privilegiando invece l’utilizzo di termini precisi e di un linguaggio ricco, vivido e suggestivo. I colori invece, oltre all’importante significato narrativo, caratterizzante e registico che possono avere in un film, sono importanti sia per gli spettatori con un residuo visivo sia per chi ha avuto esperienza dei colori in precedenza e che potrebbe averli ben impressi nella memoria. Dal punto di vista temporale, l’audiodescrizione viene resa utilizzando verbi al tempo presente proprio per trasferire al meglio la simultaneità dell’azione. Si inserisce nelle pause tra i dialoghi e i rumori significativi che non vanno coperti ma anzi, “ancorati” alle parole quando necessario. Ovviamente, facendo ciò, si deve cercare di avere rispetto dei silenzi e del ritmo voluto dal regista: inserirsi tra le pause non vuol dire riempire e sovraffollare. Una lunga scena di silenzio potrà essere intervallata da brevi stringhe descrittive che guideranno lo spettatore nella comprensione della scena, dando però lo stesso respiro voluto dal regista. Inoltre, sullo stile dell’audiodescrizione si discute ancora molto: ci sono scuole di pensiero (e di fruitori finali) che apprezzano di più uno stile soggettivo e personale, quasi narrativo, altre che prediligono uno stile oggettivo e descrittivo. Personalmente, e per come si sta evolvendo l’AD, ho fatto mio l’approccio descrittivo con l’attenzione, però, al dettaglio e al linguaggio che, come detto prima, deve poter veicolare a parole tutte le sfumature dell’immagine che scorre davanti ai miei occhi. Rispetto delle scelte di regia e rispetto del fruitore finale.

D: Cosa si audiodescrive oltre ad un film?
R: Come ti anticipavo prima, non esiste solo l’audiodescrizione filmica ma gli ambiti di applicazione sono davvero molteplici e, aggiungo, sorprendenti. Ad esempio, si possono audiodescrivere gli spettacoli teatrali, il balletto, l’opera, il circo. Ma anche gli eventi sportivi, i convegni. Per non parlare dell’importantissimo contesto museale ed espositivo in generale: musei, gallerie, parchi, siti archeologici. Ogni tipo di audiodescrizione ha quindi, ovviamente, delle specifiche tecniche e di linguaggio proprie dell’ambito di applicazione. Tuttavia, l’obiettivo di inclusione e di accessibilità rimane il filo conduttore e il motore comune.
D: Puoi parlarci della tua esperienza umana: perché ti appassiona l’audiodescrizione, hai avuto modo di percepire che è stata realmente utile?
R: In questi anni ho avuto la fortuna di poter affiancare allo studio e alla teoria diverse esperienze concrete. Molte persone si affacciano al mondo delle disabilità per contatti personali, per amicizie, per necessità. Io credo di aver fatto il percorso inverso. L’interesse e la curiosità mi hanno portato a conoscere prima il mondo della sordità (grazie allo studio della Lingua dei Segni Italiana) e poi dei ciechi e degli ipovedenti. Entrando a passi cauti e leggeri ho poi avuto la fortuna di incontrare e conoscere persone meravigliose, che ora posso chiamare amiche e che spesso sono la mia cartina tornasole per una resa accessibile efficace. Nel mio lavoro attuale, posso dire di lavorare praticamente in coppia con una collega e amica ipovedente. In questo ambito avere un feedback da qualcuno che potenzialmente è il fruitore finale è fondamentale. La fortuna maggiore è che nel mio caso si tratta anche di qualcuno che opera nel settore. La scorrevolezza, la chiarezza dei contenuti e del linguaggio, la forza delle immagini sono tutti aspetti su cui ci confrontiamo molto e dopo ogni dialogo e revisione mi sento arricchita. Nell’ambito, invece, delle mie esperienze formative precedenti, ho avuto occasione di partecipare a due momenti che considero come punti focali del mio percorso a livello umano.
Il primo è stato un momento formativo presso l’APRI di Torino in cui abbiamo lavorato sull’accompagnamento in sala di ciechi e ipovedenti. È stata una piccola rivoluzione. Sapere come accompagnare una persona, rispettando spazi, autonomia e intimità, ha infranto per fortuna tutta una serie di preconcetti che la quotidianità ti porta ad avere. Una delle frasi che più mi ha colpito è stata: “Non siamo pacchi ma persone quindi chiedeteci se abbiamo bisogno di una mano e, se accettiamo, diteci dove ci state accompagnando così da renderci consapevoli degli spazi e autonomi nel momento in cui ci lascerete.” A Milano, invece, durante lo spettacolo reso accessibile da noi corsisti, ho potuto accompagnare uno spettatore cieco durante la visita tattile che ha preceduto lo spettacolo e, successivamente, anche in sala. Nell’intervallo sono andata a salutarlo e sono stata travolta da domande, curiosità e complimenti per il lavoro sullo spettacolo. Con il suo auricolare aveva potuto seguire tutta la narrazione, complessa e densa di colpi di scena (si trattava di una rappresentazione dell’Otello), ed era impaziente che ricominciasse il secondo tempo. A fine spettacolo mi ha salutato, mi ha stretto la mano con vigore e mi ha chiesto: “Quand’è il prossimo?”. Credo che questa frase, più di tutto, risponda alla tua domanda.
D: Immagino che ci sia ancora molta strada da fare, che non sempre viene compresa la reale portata e che quindi sia ancora carente la sensibilità per questa possibilità. Cosa si potrebbe fare per promuovere le audiodescrizioni?
R: Devo ammettere che la situazione in Italia è decisamente deludente rispetto a quella di alcuni stati anche vicini ma molto si sta facendo in questo momento e molto si farà ancora! L’audiodescrizione è uno strumento di inclusione per la persona cieca e ipovedente, permette di accedere a informazioni e cultura al pari livello di chi ci vede quindi non si tratta di una velleità artistica o traduttiva ma di diritto, appunto, all’informazione e alla cultura. Di sicuro il lavoro più importante che si sta facendo è quello di provare a sensibilizzare le istituzioni, al fine di regolamentare e di far rispettare le norme già esistenti in materia. A livello più popolare o locale, credo che ci sia bisogno di uscire dagli enti e dalle associazioni e fare sì che gli operatori della cultura sposino la causa e siano loro stessi promotori di inclusività. Il mio sogno sarebbe riunire nella stessa stanza e nella stessa occasione chi si occupa di cultura (musei, operatori di cinema, teatro, compagnie stesse) e chi ne fruirebbe, per mostrare a tutti le potenzialità e i benefici, anche economici, di una cultura accessibile a tutti. Se io, cieco o ipovedente e appassionato di cinema, mi sento anche invitato e benvoluto in sala al pari di tutti gli altri spettatori, il mio desiderio di uscire di casa e partecipare a un’esperienza collettiva e culturale della città credo potrebbe aumentare di molto. Ovviamente, anche altri elementi della catena dell’accessibilità devono funzionare: dalla formazione del personale all’accessibilità del sito web del cinema in cui un cieco o un ipo può trovare informazioni sugli orari delle proiezioni (vedi dimensione testo, contrasto, ecc.). Chiudo con un pensiero prendendo l’esempio dell’app di MovieReading che tu stesso hai promosso nel tuo video. L’app permette di accedere e ascoltare, gratuitamente, le audiodescrizioni di alcuni film in uscita dal giorno stesso della diffusione nei cinema. Se io, gestore del cinema, sono informato e aggiornato, posso essere il primo a promuovere l’utilizzo dell’app dicendo che il tal film, accessibile, viene proiettato nel mio cinema in questi giorni e in questi orari. Non è questo l’obiettivo degli spazi culturali? Raggiungere le persone?

VANGOG SULLA SOGLIA DELL’ETERNITA’: COSA PORTO A CASA.

Mi è sempre piaciuto andare al cinema, piuttosto che vedere un film a casa: ti muovi per andarci, non sei solo e ti costringi su una poltrona concentrato per non perdere niente del film; mentre a casa: ti cerchi qualcosa da mangiare, ti distrai con l’iphone, dormi, ricevi chiamate o messaggi, e potrei continuare ancora. Questo pomeriggio sono andato quindi a vedere “Vangog sulla soglia dell’eternità” e da molte cose sono stato colpito.
Intanto l’estrema serietà con la quale Vangog ha vissuto l’arte: quasi una religione, una necessità, la ricerca di dare conforto agli esseri umani, la particolare ed unica visione che ciascuno ha di ogni cosa. Vedere le cose con occhi diversi: quanto siamo miseri noi mentre controlliamo le visualizzazioni, i like delle cosucce che scriviamo e soffriamo se non siamo apprezzati! Vangog è morto povero, non ha sorriso molto ma molto ha amato: suo fratello dal quale era riamato, Gogain col quale dissentiva su molte cose ma per il quale è stato capace di compiere un gesto folle, come il taglio dell’orecchio. E poi ancora la precisa sensazione di spendersi per il futuro, di seminare sapendo che non avrebbe visto il raccolto: anche qui, che campioni di impazienza siamo noi!
Noi ci aggiriamo nei musei, cerchiamo i quadri che non comperiamo perchè non abbiamo soldi, leggiamo critiche letterarie e ignioriamo la vera domanda. Non se e quanto ci piace un quadro, una sinfonia; ma quanto questo quadro, questa sinfonia ci cambiano la vita, quanto ci scavano dentro, quanto è centrale o marginale l’arte nella nostra esistenza!
Dunque mi propongo di non lasciarmi sviare da commenti sarcastici o malevoli, di seguire l’istinto creativo anche nel caso non sia compreso. Credo che Vangog fosse stato felice solo mentre dipingeva velocemente e furiosamente e quindi, se una azione ci può dare felicità, serenità, perchè lasciarsi manipolare dalle opinioni degli altri anche se in buona fede. L’ultima cosa che mi ha colpito è il fatto che nei suoi ultimi 80 giorni di quiete, ha prodotto ben 75 quadri. Davvero stupefacente!

Come un non vedente può “vedere” un film senza farselo raccontare?

Sono un appassionato di cinema: mi piace molto frequentare le sale cinematografiche, anche se oggi frequentare il cinema è piuttosto anacronistico: i film ce li vediamo a casa, anche se non è proprio lo stesso.
Il problema si presentava quando era necessaria una descrizione dell’accompagnatore di turno nei momenti privi di dialoghi. Ricordo ad esempio, uno spezzone del film “il pianista”, nel quale ci sono più di 10 minuti senza alcun dialogo: la scena riprendeva ciò che vedeva dalla finestra un ebreo nascosto, un assalto dei partigiani polacchi ad una caserma occupata dai tedeschi. Così poteva accadere che, o il film ci veniva descritto con dovizia di particolari a voce sostenuta provocando le ire dei vicini di posto, oppure quando i nostri accompagnatori, sopraffatti dalla vergogna o troppo presi dalle vicende cinematografiche, si dimenticavano di descrivere particolari significativi. Per non parlare di ciò che avviene a casa dove si finisce per stressare i familiari per sapere qualche particolare: “e allora! cosa sta succedendo”, e lascio solo immaginare il fastidio di dover chiedere e quello di dover rispondere.
Ora esiste una app sugli smartphone che può risolvere questo aspetto. Si chiama Movie Reading, ma come funziona? La si scarica, ci viene proposto un catalogo, ancora troppo povero, si scarica la audio descrizione e si porta il nostro smartphone al cinema. Si attende pazientemente l’inizio del film, si toglie l’illuminazione al cellulare per non dare fastidio in sala, ci si mette la cuffia e si attiva l’app. Questa si sincronizza con l’audio che viene captato e nei momenti in cui la descrizione è necessaria, la si può ascoltare dalla cuffia stessa.
Il video che propongo, consente di farsi un’idea di ciò che avviene. In https://youtu.be/lsguKNyqZEM questo modo si può andare al cinema con gli amici godendo a pieno dei vari passaggi del film.
Ma cos’è una audio descrizione? Praticamente è la lettura di ciò che lo scenografo scrive per dare istruzione agli attori di quali devono essere i gesti da compiere oltre al dialogo e va a coprire gli spazi vuoti nei quali, in assenza di parole, il non vedente non potrebbe avere alcuna informazione.
C’è da augurarsi che questa lodevole iniziativa possa continuare in modo da consentire di inserire nel catalogo l’audio descrizione dei film che escono.

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