ASMR: cos’è? 👂🏻👂🏽👂🏿

Per me è una novità, strana, particolare. Quindi mi permetto di Ri pubblicare questo articolo.Per me è una novità, strana, particolare. Quindi mi permetto di Ri pubblicare questo articolo.

ASMR: autonomous sensory meridian response. Ecco cosa significa l’acronimo che sta spopolando il web. Ma cosa vuol dire esattamente? È quella …

ASMR: cos’è? 👂🏻👂🏽👂🏿

Una (lunga) narrazione del 2019: tutti gli eventi in ordine sparso

Condivido questo articolo scritto mirabilmente. Lo condivido perché è bellissimo, ma soprattutto lo condivido perché oggi sono particolarmente pigro. Una (lunga) narrazione del 2019: tutti gli eventi in ordine sparso

Una (lunga) narrazione del 2019: tutti gli eventi in ordine sparso
— Leggi su ilmondodelleparole.com/2019/12/30/una-lunga-narrazione-del-2019-tutti-gli-eventi-in-ordine-sparso/

Condivido anche qui il terzo episodio del mio nuovo podcast “non di sola tecnologia podcast”, che ha bisogno di essere lanciato. Riprendo un mio vecchio video di youtube dove faccio un elogio dell’ascolto: potente strumento di pace interiore ed esteriore.

www.spreaker.com/episode/21092140

Noi siamo tempesta. recensione.

“Che cosa accadrebbe se noi raccontassimo ai nostri bambini, non solo storie di eroi, ma anche racconti nei quali si può essere potenti insieme”.
Questo è l’incipit del libro di Michela Murgia “noi siamo tempesta”.
Il libro è anche un atto politico: la democrazia è estremamente faticosa, si fa prima ad affidare tutto ad un solo uomo o ad una olligarchia ma, alla fine, si diventa tutti deboli, alla mercè dei pochi forti.
Fin da piccoli siamo impregnati di egoismo, antagonismo: “chi fa da sé fa per tre”, sempre di corsa, sempre in gara. Non a caso, di solito, gli eroi finiscono male. In realtà molte conquiste, quelle davvero significative nella storia, sono opera di gruppi creativi che però non sono raccontate. Ecco perché ho apprezzato queste storie raccontate da Michela Murgia.
Così viviamo questa contraddizione sulla nostra pelle: da una parte il mito del farsi da Sé e dall’altra tutte le teorie che ci vengono sciorinate negli uffici e nelle fabriche; Il lavoro di gruppo è esaltato “tutti per uno, uno per tutti” anche se l’intento è ancora una volta quello di farci diventare animali produttivi.
Il lavoro di squadra, le attività di gruppo davvero però sono quantomai auspicabili. Mettendosi al servizio del gruppo si raggiungono risultati inattesi e insperati e la risultante non è la somma del lavoro di tutti, ma qualcosa di speciale e di diverso. Le storie raccontate in questo libro sono consolanti, sono un balsamo per la nostra autostima: non serve essere SUPER eroi per conseguire risultati interessanti, per passare alla storia. Il crollo del muro di Berlino, l’enciclopediA WIKIPEDIA E ALTRE STORIE MENO NOTE, DIMOSTRANO CHE UN GRUPPO DI PERSONE DETERMINATO Può FARE LA FAMOSA DIFFERENZA.

Leggi tutto “Noi siamo tempesta. recensione.”

Come prendete gli appunti, o non li prendete più?

Quante lezioni e quante conferenze! Ho visto di tutto: c’è chi scrive come un forsennato riempiendo ancora a penna ogni angolo di fogli e quaderni; Altri si sono evoluti e scrivono su pc, smartphones a penna o con tastiere addizionali o con il touch. Qualcuno registra con registratorini digitali o con i soliti smartphones. Altri hanno deposto penne e sussidi vari e, semplicemente hanno smesso. Ascoltano, oppure tranquillamente si abbioccano fingendo di seguire attentamente. Così più conferenze seguiamo e meno tratteniamo.

Credo che si perda la capacità di ascoltare e sintetizzare i concetti che, se non li fissiamo in un qualsiasi modo li perdiamo per sempre. A me piace prendere appunti e mi piace scrivere delle sintesi evitando di afferrare concetti sparsi, slegati dal contesto. Ricordo che quando ero alle prime armi, rileggendo appunti dopo giorni, non capivo più diverse concetti e soprattutto alcuni passaggi Ho imparato col tempo e per necessità: specialmente all’università non ci sono più testi in Braille, la scrittura che utilizzo preferibilmente.

I registratori e le barre Braille

Il problema era per me la velocità. Quando scrivevo a mano in Braille, non riuscivo a stare dietro ai relatori o professori. Mi ero inventato un sistema di stenografia che, che però ero l’unico ad interpretare. Sono passato alle registrazioni. Bello all’inizio: evitata la fatica di scrivere ma, poi c’era la necessità di sbobinare. Un’ora di registrazione costava ore di sbobinamenti. Ho cercato software di cattura delle registrazioni con risultati scarsi: la registrazione per essere convertita in testo deve essere praticamente perfetta.

La barra Braille

Finalmente mi è venuta in soccorso la tecnologia. Ho acquistato una Barra Braille con un bel sacrificio, è molto costosa. La barra Braille è un apparecchio che trascrive in Braille il contenuto di uno schermo del pc. La generazione successiva è stata la Barra Braille con la possibilità di scrivere mediante una tastiera a 8 tasti e di memorizzare il tutto su memory card o chiavette usb. Poi, collegandole ai pc, è possibile riversarne il contenuto rendendolo disponibile in txt o doc per word. Finalmente posso scrivere ad altissima velocità e in modo quasi silenzioso prendendo appunti senza fatica. Bello prendere appunti ora, bello poterli rileggere, modificare e completare.

Quando non esistevano.

Smartphones ed affini.

Riporto uno stralcio di questo post. Non per nostalgia dei tempi andati: non credo a tempi migliori o peggiori. Solo credo che l’equilibrio sia una meta difficile da raggiungere ma importante. Quando devi scrivere e dare una risposta che viaggia per settimane o giorni, devi ragionarle per evitare fraintendimenti. Avete notato quanto sia facile essere fraintesi o fraintendere con un normale messaggino?

Quando non esistevano gli smartphone e l’adsl, le comunicazioni erano più lente e perciò i rapporti interpersonali suscitavano alcune emozioni forse sconosciute agli adolescenti di oggi. Incontrarsi con amiche e amici, darsi appuntamenti, rendersi rintracciabili erano tutte operazioni che avvenivano senza l’eterna presenza di cellulari, whatsapp e simili. Esisteva un’intensa vita di relazione, declinata in forme differenti rispetto al presente.

Ad esempio, non c’era l’opportunità di scattare fotografie in ogni secondo della propria esistenza e di postarle, a qualsiasi ora del giorno e della notte, su Instagram o Faccialibro. E forse è quasi superfluo aggiungere che non si perdeva tempo a fotografare infinite immagini di cibi e bevande – pizzette, calici di vino, piattini di pesce e alimenti vari. Non si sprecavano i limitati scatti delle vecchie pellicole per cose di questo genere: le fotografie, infatti, erano oggetti un po’ preziosi, proprio perché non immediatamente fruibili, e guardarle in compagnia costituiva un piccolo avvenimento. Il dato interessante è che non stiamo parlando di molti anni fa.

Ecco, qualche volta è bello e fonte di calde emozioni non poter avere tutto e subito.

Greta e la strumentalizzazione dei “grandi”.

Riporto un articolo da Vanity Fair.it del 19.03.2019. Si può dissentire, dibattere, ma non instillare sempre il veleno dell’odio. La vergogna non è solo nei social ma in ogni parola che si sente al bar, negli uffici, nelle tv di cosiddetta opinione. Bisogna spezzare questo filo nero che sta avvolgendo troppe cose in questo mondo. E’ pericoloso voler sempre ghettizzare nel ruolo di Persona Malata: forse non è vero che l’ambiente è degradato? la globalizzazione sta uccidendo le particolarità delle culture, anche se è una persona con asperger a dirlo? Mi domando, ma dovevamo sentircelo dire da lei oppure potevamo accorgercene noi? e ancora, il fatto che molti non sappiano esattamente cosa è l’asperger o che i ragazzi che scioperano non abbiano la minima idea di cosa sia il buco dell’ozzono cambia lo scopo di questa rivendicazione? Possiamo a confrontarci sulle idee, sulle situazioni senza considerare chi le porta avanti.

Diverse persone hanno sentito la necessità di sminuire il lavoro e il carisma dell’attivista svedese, parlando della sindrome in termini scorretti. Ne abbiamo parlato con la terapista Marya Procchio dell’ASA.

«Senza l’Asperger, non avrei lottato così». Greta Thunberg, l’attivista sedicenne per il clima, ha sempre parlato della «sua» sindrome come un «dono»: «Se fossi stata come tutti, avrei potuto continuare come tutti gli altri. Avrei potuto rimanere bloccata nel social game, galleggiare nelle convenzioni e nel tran tran, e continuare come prima. Ma non posso, anche volendolo. La mia sindrome fa sì che io veda il mondo o bianco o nero, senza vie di mezzo», ha raccontato al Financial Times. «E che senta l’esigenza improrogabile di salvarlo». Eppure, i suoi detrattori l’hanno accusata di essere una ragazzina strumentalizzata (Nadia Toffa), «personaggio da film horror» (Rita Pavone), «malata di autismo» (Maria Giovanna Maglie).

«Diverse persone sentono la necessità di sminuire il lavoro e il carisma di questa ragazza, ma hanno difficoltà a parlare della sindrome in termini corretti», ci spiega la dottoressa Marya Procchio, educatrice professionale che fa parte del comitato scientifico dell’Asa (associazione sindrome di Asperger).

Che cos’è esattamente l’Asperger?
«È una neuro-diversità: il cervello di chi ha la sindrome di Asperger funziona su canali diversi, ha un modo di recepire e elaborare le informazioni diverso dalla maggioranza (neuro-tipicità). È come un sistema operativo diverso, quindi non si può guarire. Il quoziente cognitivo degli Asperger, però, non è deficitario, ma nella media o superiore a quello della maggioranza».

Qual è la sua origine?
«Non si sa ancora nulla di definitivo: i ricercatori stanno cercando di approfondire le indagini, ma per ora si pensa a una costellazione di elementi in gioco, a livello genetico, ambientale e non solo. Probabilmente non esiste una causa unica».

Asperger e autismo sono la stessa cosa?
«Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, (Dms 5) parla solo di spettro dell’autismo: la sindrome di Asperger è scomparsa. Le aree in cui possiamo riscontrare diversità o difficoltà sono le medesime: comunicazione e relazione sociale e interessi. L’Asperger è all’interno del continuum dell’autismo, ma il dibattito è ancora in corso: ci sono gruppi di genitori e specialisti che vorrebbero differenziarlo dall’autismo, in cui la qualità delle abilità comunicative e sociali è compromessa e il quoziente cognitivo può variare ed essere al di sotto, nella media o al di sopra della maggioranza».

È facile strumentalizzare un Asperger?
«In ogni persona ci sono delle diversità, ma nel suo modo di essere Asperger, Greta non può essere stata strumentalizzata: è lei ad avere scoperto la «sua» causa. Ha visto un documentario con un orso polare in difficoltà e ha rivelato che, se per gli altri quella era un’immagine come tante altre, per lei è stata la scintilla che l’ha spinta a impegnarsi. Le assicuro che molti dei ragazzi con cui lavoro sono davvero difficili da convincere, ed è molto difficile che un loro interesse possa venire strumentalizzato».

Si è anche parlato di Asperger come di una malattia. Che cosa non è la sindrome?
«Non è una malattia e non è un disturbo psichiatrico. Gli Asperger non hanno nessuna forma di deviazione sociale, non sono psicopatici, non hanno un disturbo di personalità».

Gli attacchi degli haters possono ferire Greta?
«Mi auguro che chi le sta accanto sappia tutelarla da eventuali eccessi, casomai lei dovesse risentirne, intristirsi o sovraccaricarsi. Ma lei è consapevole della correttezza della sua lotta e ben determinata sulla sua causa. Sa che il mondo non è sensibile a questa battaglia e ha messo in conto che di battersi per una questione difficile».

Sta anche aumentando la sensibilità sull’Asperger.
«Sì. Uno dei ragazzi con cui lavoro mi ha scritto che Greta «ha portato luce sull’Asperger come neuro-diversità e non come malattia». Le persone come lei possono lottare per qualcosa e fare la differenza».

di Monica Coviello

Whats app “odio et amo”: mai per 10 minuti!

Può esistere un galateo per whats app? Beh! qualche piccola regola ci dovrebbe essere. Avete mai ricevuto messaggi di 10 o più minuti, con giri di parole, lunghe pause e ripetizioniche ti innervosiscono? Io si, e se fare un messaggio vocale può essere più semplice, per chi riceve un messaggio così tossico può essere quantomeno imbarazzante.
I messaggi vocali sono tornati in auge. Basta osservare quanta gente cammina con il cellulare davanti a sè mentre sta parlando con foga; l’inkedin li ha implementati ora seguendo viber, whats app e messenger. Ma anche facebook ed instagram si apprestano a renderli possibili sulle loro piattaforme. Negli anni 90 e anche dopo li abbiamo detestati perchè eravamo costretti a chiamare la segreteria, digitando codici, pagando, per poter ascoltare magari uno che buttava giù il telefono. Ditemi quanti di voi chiamava la segreteria! io quasi mai. Le nostre chat erano diventate esclusivamente scritte: più vantaggioso perchè potevi sbirciare velocemente e rispondere al volo anche in mezzo a molte persone, potevi rispondere dopo perchè erano in memoria. Addirittura nel 2012 uno studio, ma non potevano fare altro, si decretava la morte dei messaggi vocali: “per gli adolescenti esiste solo il Testing”. L’anno successivo whats app si reinventa la messaggeria vocale senza più passare dalla odiata segreteria, poi semplificandola ulteriormente consentendo di messaggiare a mani libere. Oggi il messaggio vocale è un odio-amore. Se da un lato chi invia un messaggio vocale lo può fare mentre cammina, cucina o è in auto evitando di scrivere in condizioni difficili, per chi lo riceve è un problema imbarazzante. Non puoi ascoltarlo difronte a molte persone a meno di accostarlo all’orecchio, pratica decisamente sconveniente se sei in compagnia. Non puoi immediatamente sapere se è una richiesta urgente o una semplice divagazione sulla finta bomba di neve. Il più delle volte non si va al punto, si divaga facendo perdere tempo.
Provo a dare qualche indicazione su come potremmo impiegare questa possibilità al meglio.
1 – utilizzarlo solo se per alcune circostanze non possono proprio essere sostituiti da un meno invadente messaggio scritto: quando si è in auto, si stanno sbucciando le cipolle, si hanno difficoltà di scrittura;
2 – Sulla lunghezza poi: pochi secondi perchè inducono a rispondere con messaggio vocale e se sappiamo fare sintesi, in pochi secondi possiamo lanciare un messaggio efficace;
3 – Inoltrare il meno possibile un messaggio audio. Proverbiale in proposito il messaggio inoltrato di Rocco Casalino, il pentastellato che era dispiaciuto del crollo del ponte perchè lo distoglievano dalle ferie facendogli saltare il ferragosto.
Spesso, negli audio, si tende a essere troppo assertivi. Spiega il sociologo della Comunicazione, docente a Messina, Francesco Pira: «Il messaggio audio è un nuovo codice comunicativo, perché la sua prima funzione è esprimersi senza contraddittorio. L’effetto è che lo mandi e ti senti liberato. Volevi dire una cosa e l’hai detta». È insomma una comunicazione che esclude la risposta e riceverlo può essere straniante.
Al solito, è l’utilizzo che se ne fa che pregiudica la validità o meno di uno strumento. Il messaggio vocale ha anche dei vantaggi: non è equivocabile, lo ascolti e non hai bisogno che sia chiarito dalle emoji. Sono proprio imbattibili quando vuoi far sentire la tua voce, l’emozione che il suono rende immediata, mentre se vuoi trasmettere emozioni per iscritto, devi saperlo fare. Un conto è scrivere ti amo e altra cosa è proprio dirlo con la tua voce, magari con la giusta prosodia.

Non di sola carta: esperienze di un lettore per passione.


Immagine libro braille.


mani che leggono con l’optacon.

Per coltivare le proprie passioni si compiono sacrifici decisamente irrazionali: ho speso cifre iperboliche per i pc, per gli scanner che mi permettevano di leggere quando gli ebook erano una promessa, ho passato notti insonni intorno ai pc, alla musica da ascoltare e suonare. Io poi sono patologico: mi appassiono a molte cose e finisco per esaurirmi e non eccellere in niente. Fermiamoci per ora alla lettura. Forse la fame ti viene quando non hai da mangiare: già ho scritto dei pochissimi libri disponibili in Braille, del mio barare sull’età per carpire libri al bibliotecario del collegio. Ho 2 ricordi straordinari della mia infanzia di lettore: il bibliotecario per farci leggere libri, si sottoponeva ad ore ed ore di dattilografia, facendosi dettare libri che trascriveva; semplicemente commovente il suo sforzo che io premiavo ovviamente leggendo il libro appena dattilografato. Una assistente al doposcuola, l’unica, ci chiamava tutti intorno e ci leggeva ad alta voce i libri di Salgari che ascoltavamo in trance. Ho cominciato poi ad ascoltare i libri registrati su audiocassette: l’ascolto dei libri implica una concentrazione particolare per non arrivare a russare più forte della fonte sonora. All’università, dopo la proverbiale crisi per non poter disporre di libri giuridici, avevo studiato una soluzione col mio ex direttore del collegio, che alla sua chiusura era stato trasferito alla biblioteca civica di Torino, per farmi registrare i libri sui quali studiavo per poi restituire le audiocassette alla biblioteca che le metteva a disposizione di altri. Sono orgoglioso di aver così costituito il primo nucleo di audiolibri della biblioteca. Ho trovato autentici angeli dalle voci sgraziate che, con letture e pronunce terribili, mi hanno comunque permesso di laurearmi e specializzarmi in diritto internazionale. Le possibilità di leggere si sono ampliate: per qualche tempo ho letto con l’optacon, apparecchio costosissimo acquistato in America che consisteva in una telecamera che si faceva scorrere sul foglio, collegata ad una matrice tattile di 144 lamelle che ti vibravano sotto il polpastrello dell’indice sinistro che dopo un po’ ti facevano formicolare tutta la mano. Ho ancora questo cimelio, eppure con quell’apparecchio infernale ho consultato codice civile ed altri, libri, cartine geografiche e stradali e i primi pc commodore, 286 e simili.

Io che leggo con l’optacon

Sono passato alle nastroteche, alle cassette a 4 piste, riversate successivamente su cd e mp3, alle letture scansionando interi libri che poi venivano letti da sintesi vocali marziane all’inizio e via via sempre più performanti. Ho sperimentato radio web dove venivano mandati libri a ciclo continuo. Sono passato alla battaglia con gli editori per ottenere la copia digitale accanto a quella cartacea con risultati poco apprezzabili, ma ricordo la denuncia ad alcuni di noi della Rowling, si proprio lei, per aver divulgato la copia presa allo scanner di un suo libro stra venduto.

E ora che possiamo acquistarci gli ebook a prezzi inferiori al cartaceo da leggerci con gli smartphone, ora che possiamo acquistare o reperire audiolibri letti ad arte da voci professionali, mi duole constatare che in pochi leggono assiduamente. Che in pochissimi sosterrebbero il sacrificio di stare ore allo scanner, di farsi martoriare un dito o di attendere per mesi una copia da leggere o pagare un lettore per farsi registrare un testo, di spendere cifre da capogiro per acquistare una Barra Braille per metterci sopra i libri da leggere e consultare. E le riflessioni potrebbero continuare: in realtà non abbiamo più fame, ci crogioliamo nelle nostre case e nelle tecnologie e non dobbiamo stupirci della decadenza della nostra cultura e della nostra civiltà.

Perchè si scrive?

Oggi che il foglio virtuale restava desolatamente vuoto, da qualche giorno non succedeva ed era inevitabile che accadesse, mi sono posto alcune domande. Perchè si scrive: cosa ci spinge a farlo, e perchè ci piace che qualcuno ci legga? Così ho cercato le motivazioni che hanno indotto scrittori a scrivere, assolutamente conscio del fatto che i motivi possono essere migliaia, e che, di questo ne sono convinto, chi più legge, più è in grado di scrivere. HO trovato un testo di Primo Levi che enumerava 9 motivi per cui uno è indotto a scrivere ma, precisa, che ciascuno potrebbe trovarne mille altri. Chissà se qualcuno mi aiuta a trovarne di suoi o nuovi. Questi nove motivi li estraggo liberamente dal suo testo.
“Non sempre uno scrittore è consapevole dei motivi che lo inducono a scrivere, non sempre è spinto da un motivo solo, non sempre gli stessi motivi stanno dietro all’inizio ed alla fine della stessa opera. Mi sembra che si possano configurare almeno nove motivazioni, e proverò a descriverle; ma il lettore, sia egli del mestiere o no, non avrà difficoltà a scovarne delle altre. Perché, dunque, si scrive”?
1) Perché se ne sente l’impulso o il bisogno. È questa, in prima approssimazione, la motivazione più disinteressata. L’autore che scrive perché qualcosa o qualcuno gli detta dentro non opera in vista di un fine; dal suo lavoro gli potranno venire fama e gloria, ma saranno un di più, un beneficio aggiunto, non consapevolmente desiderato. Difficile pensare ad un artista così puro di cuore!
2) Per divertire o divertirsi. Fortunatamente, le due varianti coincidono quasi sempre: è raro che chi scrive per divertire il suo pubblico non si diverta scrivendo, ed è raro che chi prova piacere nello scrivere non trasmetta al lettore almeno una porzione del suo divertimento. A differenza del caso precedente, esistono i divertitori puri, spesso non scrittori di professione, alieni da ambizioni letterarie o non, privi di certezze ingombranti e di rigidezze dogmatiche, leggeri e limpidi come bambini, lucidi e savi come chi ha vissuto a lungo e non invano. Il primo nome che mi viene in mente  è quello di Lewis Carroll, il timido decano e matematico dalla vita intemerata, che ha affascinato sei generazioni con le avventure della sua Alice, prima nel paese delle meraviglie e poi dietro lo specchio. La conferma del suo genio affabile si ritrova nel favore che i suoi libri godono, dopo più di un secolo di vita, non solo presso i bambini, a cui egli idealmente li dedicava, ma presso i logici e gli psicanalisti, che non cessano di trovare nelle sue pagine significati sempre nuovi. È probabile che questo mai interrotto successo dei suoi libri sia dovuto proprio al fatto che essi non contrabbandano nulla: né lezioni di morale né sforzi didascalici.
3) Per insegnare qualcosa a qualcuno. Farlo, e farlo bene, può essere prezioso per il lettore, ma occorre che i patti siano chiari. A meno di rare eccezioni, come il Virgilio delle Georgiche, l’intento didattico corrode la tela narrativa dal di sotto, la degrada e la inquina: il lettore che cerca il racconto deve trovare il racconto, e non una lezione che non desidera. Ma appunto, le eccezioni ci sono, e chi ha sangue di poeta sa trovare ed esprimere poesia anche parlando di stelle, di atomi, dell’allevamento del bestiame e dell’apicultura. Non vorrei dare scandalo ricordando qui La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, altro uomo di cuore puro, che non si nasconde la bocca dietro la mano: non posa a letterato, ama con passione l’arte della cucina spregiata dagli ipocriti e dai dispeptici, intende insegnarla, lo dichiara, lo fa con la semplicità e la chiarezza di chi conosce a fondo la sua materia, ed arriva spontaneamente all’arte.
4) Per migliorare il mondo. Come si vede, ci stiamo allontanando sempre più dall’arte che è fine a se stessa. Sarà opportuno osservare qui che le motivazioni di cui stiamo discutendo hanno ben poca rilevanza ai fini del valore dell’opera a cui possono dare origine; un libro può essere bello, serio, duraturo e gradevole per ragioni assai diverse da quelle per cui è stato scritto. Si possono scrivere libri ignobili per ragioni nobilissime, ed anche, ma più raramente, libri nobili per ragioni ignobili. Tuttavia, provo personalmente una certa diffidenza per chi “sa” come migliorare il mondo; non sempre, ma spesso, è un individuo talmente innamorato del suo sistema da diventare impermeabile alla critica. C’è da augurarsi che non possegga una volontà troppo forte, altrimenti sarà tentato di migliorare il mondo nei fatti e non solo nelle parole: così ha fatto Hitler dopo aver scritto il Mein Kampf, ed ho spesso pensato che molti altri utopisti, se avessero avuto energie sufficienti, avrebbero scatenato guerre e stragi.
5) Per far conoscere le proprie idee. Chi scrive per questo motivo rappresenta soltanto una variante più ridotta, e quindi meno pericolosa, del caso precedente. La categoria coincide di fatto con quella dei filosofi, siano essi geniali, mediocri, presuntuosi, amanti del genere umano, dilettanti o matti.
6) Per liberarsi da un’angoscia. spesso lo scrivere rappresenta un equivalente della confessione o del divano di Freud. Non ho nulla da obiettare a chi scrive spinto dalla tensione: gli auguro anzi di riuscire a liberarsene così, come è accaduto a me in anni lontani. Gli chiedo però che si sforzi di filtrare la sua angoscia, di non scagliarla così com’è, ruvida e greggia, sulla faccia di chi legge; altrimenti rischia di contagiarla agli altri senza allontanarla da sé.
7) Per diventare famosi. credo che solo un folle possa accingersi a scrivere unicamente per diventare famoso; ma credo anche che nessuno scrittore, neppure il più modesto, neppure il meno presuntuoso, neppure l’angelico Carroll sopra ricordato, sia stato immune da questa motivazione. Aver fama, leggere di sé sui giornali, sentire parlare di sé, è dolce, non c’è dubbio; ma poche fra le gioie che la vita può dare costano altrettanta fatica, e poche fatiche hanno risultato così incerto.
8) Per diventare ricchi. Non capisco perché alcuni si sdegnino o si stupiscano quando vengono a sapere che Collodi, Balzac e Dostoevskij scrivevano per guadagnare, o per pagare i debiti di gioco, o per tappare i buchi di imprese commerciali fallimentari. Mi pare giusto che lo scrivere, come qualsiasi altra attività utile, venga ricompensato. Ma credo che scrivere solo per denaro sia pericoloso, perché conduce quasi sempre ad una maniera facile, troppo ossequente al gusto del pubblico più vasto e alla moda del momento.
9) Per abitudine. Ho lasciato ultima questa motivazione, che è la più triste. Non è bello, ma avviene: avviene che lo scrittore esaurisca il suo propellente, la sua carica narrativa, il suo desiderio di dar vita e forma alle immagini che ha concepite; che non concepisca più immagini; che non abbia più desideri, neppure di gloria e di denaro; e che scriva ugualmente, per inerzia, per abitudine, per “tener viva la firma”. Badi a quello che fa: su quella strada non andrà lontano, finirà fatalmente col copiare se stesso. È più dignitoso il silenzio, temporaneo o definitivo.
Sicuramente più dignitoso il silenzio. Ovviamente poco da aggiungere, anche se Primo Levi non poteva forse neppure immaginare internet e i blog. Io fondamentalmente scrivo per una ragione: ho bisogno di riordinare, classificare e distillare idee; non per farmi delle idee immutabili, piuttosto per non mutuare pedissequamente giudizi premasticati dagli altri. Capita quindi che mi attraversi un pensiero, una intuizione: ci lavoro, la ripenso, leggo e alla fine, per evitare che l’idea venga schiacciata dalla mole di altre idee e dati, la devo mettere per iscritto. Probabilmente se scrivessi un racconto o un romanzo avrei altre motivazioni ma, è appurato che non sono uno scrittore e che il mio intento è ben più modesto. E allora quale è di questi o di altri il vostro motivo preferito, ammesso che abbiate avuto il coraggio di arrivare alla fine?

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