A RICORDO DI UN BEL MOMENTO CULTURALE, SUL BUIO E LA LUCe.

Lo scorso 27 dicembre, praticamente lo scorso anno, ho partecipato ad un momento di festa organizzato dall’associazione Colibrì. Si è trattato di un momento di scambio di frammenti di letture che ciascuno ha proposto sul tema del buio e della luce: seguito da un ottimo rinfresco. Ho avuto modo di leggere, nella circostanza, un minuscolo frammento tratto da un libro di uno scrittore non vedente che conosco. L’autore Roberto Turolla in questo libro “I racconti del buio”, ambienta i suoi racconti al buio appunto, dove i colori, con hanno una valenza così determinante come il resto della letteratura. Mi piace lasciare in questa circostanza alcune parole della sua postfazione.

“Gran parte delle persone vedenti forse non ha mai nemmeno immaginato che cosa voglia dire per un non vedente scrivere narrativa. Eppure credo sia davvero importante che se ne parli, affinché le disabilità escano dal recinto delle forme difettose e vengano invece percepite e trasformate in abilità precise, regolate da tecniche proprie. In questo modo i normodotati possono superare un’involontaria o pigra modalità pietistica di rapporto col disabile ed entrare in una piena e completa parità, seppure su territori diversi.
In sostanza è soltanto la conoscenza profonda del mondo dell’altro che cancella, azzera e annulla le distanze, perché se il vedente entra in profondità in relazione con il mio meccanismo compositivo e per così dire osserva la mia mente che si muove alla ricerca di parole che non posso marcare con l’etichetta visiva capirà che, semplicemente, funziono in un modo diverso dal suo, che sono una persona con caratteristiche proprie, anche se diverse dalle sue. In questo modo sparirà ogni forma di pietismo. Molte persone rispetto alla disabilità adottano comportamenti pietistici in buona fede, soltanto perché non hanno strumenti per comprendere che vi sono abilità altre dalle proprie, quindi non sanno come intercettare quel problema che il disabile segnala. Se invece le persone vengono messe al corrente del meccanismo, del motore operativo di un disabile si rendono conto che è semplicemente un altro motore, non che manca il motore”.

IL VALORE DEL SILENZIO NELLA COMUNICAZIONE.

In un articolo precedente avevo analizzato la potenza delle parole, nel bene e nel male: (le parole sono chiodi), tanto per autocitarmi.
Qui mi piace parlare del silenzio nella comunicazione, della necessità del silenzio, del suo potere. La musica è fatta di note ma anche di pause. Il vero oratore che utilizza le parole in modo fluente,è colui che sa arricchire il suo eloquio con pause che dosa saggiamente per dare enfasi, per catturaremahgiore attenzione. I discorsi più significativi sono preparati da lunghi silenzi che ci servono a riordinare il groviglio dei nostri pensieri. Il silenzio, quando non è un muro di gomma e diventa allora negativo, consente di recuperare serenità nei confronti troppo serrati. Se io sono ahgressivo e l’interlocutore sta in silenzio, io sono costretto a fermarmi per capire questa reazione. Il silenzio poi, è fortemente legato all’ascolto: è ovvio, più facciamo silenzio e più ci predisponiamo all’ascolto, e sappiamo quanto questa pratica sia importante e disattesa dai più. Si ledge e si scrive in silenzio, si Prega in silenzio anche se non sempre, le cose più buone le mangiamo in silenzio, si pensa, quando lo facciamo, in silenzio, si dorme anche in silenzio. Quante frasi e proverbi di saggezza popolare magnificano il silenzio/
(Un bel tacer non fu mai scritto), (la parola è d’argento, il silenzio d’oro).
Ma dunque dovremmo tacere più spesso? si certo, sarebbe davvero meglio.

LE PAROLE SONO CHIODI CHE LASCIANO IL SEGNO

Conosciamo tutti il potere dirompente delle parole? sappiamo gestirlo questo potere fermandoci prima della catastrofe?
Credo proprio di no: utiliziamo le parole troppo, male e a sproposito. I linguisti ci raccontano che il nostro lessico è sempre più povero e contaminato; a volte addirittura disconosciamo il significato delle parole che utiliziamo e generiamo fraintendimenti che scatenano la nostra aggressività. Quante volte diciamo “io dico sempre quello che penso, non sono mica un ipocrita”! oppure, “io sono uno che si arrabbia subito, ma poi gli passa”,sfoderando la spada della parola ferendo indiscriminatamente, soprattutto le persone che più amiamo. Quante famiglie traumatizzate e divise irrimediabilmente da un solco di parole pronunciate con violenza senza freni. E quante situazioni salvate da qualcuno che si è fermato in tempo frenando il fiume di parole che aveva dentro, bloccando situazioni incresciose. Siamo sicuri che le persone dicono sempre ciò che pensano? sarebbe un vero guaio: provate ad immaginare un mondo dove si manifestano tranquillamente tutti i pensieri!
Le parole sono chiodi dunque, lasciano un segno e spesso le richieste di perdono non possono più essere ricevute, ci si è spinti troppo oltre. Non parliamo poi delle parole che, vomitate nei social, distruggono reputazioni, instillano dubbi, causano divisioni insanabili, che meriterebbero approfondimenti ulteriori.
Per fortuna le parole possono anche sanare, ricostruire, recuperare, riunire. Tutto dipende dall’utilizzo che ne facciamo, dal nostro cuore; la parola è un semplice strumento nelle nostre mani. Cerchiamo, per quanto ci è possibile, di porre una maggiore attenzione all’impiego che ne facciamo. Ricordiamocene quando ci relazioniamo con i nostri cari, quando affrontiamo persone che non sono propriamente empatiche. un po’ di diplomazia e soprattutto la gentilezza conquistano più della violenza e dell’aggressività.