Qual è una parola che ritieni usata da troppe persone?
Le parole indubbiamente ci servono un po’ per tutto: per mandaremessaggi di odio, d’amore, per manifestare i nostri sentimenti; oppure semplicemente sono utilizzate, tanto per parlare, per esprimere pensieri inconcludenti o non nostri. Accade che ci restano incollate dall’ascolto passivo di televisione, radio, internet e simili. Così finiamo per pronunciare parole perchè sembrano belle, piene di fascino e ce ne serviamo per fare effetto sugli altri, talvolta senza conoscerne il significato. Alla fine ci copriamo di ridicolo per voler utilizzare parole altisonanti senza riuscire a farci capire.
Le parole nascono, crescono e muoiono.
Proprio così: si coniano, si irrobustiscono e alla fine diventano anacronistiche, fino a perdere il loro significato iniziale e muoiono. In questa parabola alcune parole o frasi, sono abusate: ricordate Cioè? Nella misura in cui? solidarietà? Poi, vogliamo parlare di quelle parole che si usano senza dar peso? Amore, Odio, Amico, Per Sempre, Tutta La Vita. Proprio vero che la lingua è più veloce del pensiero e le parole diventano sassi, macigni e a nulla vale cercare di tornare indietro. Le parole possono essere più incendiarie e pericolose di una arma.
Condivido anche qui il terzo episodio del mio nuovo podcast “non di sola tecnologia podcast”, che ha bisogno di essere lanciato. Riprendo un mio vecchio video di youtube dove faccio un elogio dell’ascolto: potente strumento di pace interiore ed esteriore.
“Che cosa accadrebbe se noi raccontassimo ai nostri bambini, non solo storie di eroi, ma anche racconti nei quali si può essere potenti insieme”.
Questo è l’incipit del libro di Michela Murgia “noi siamo tempesta”.
Il libro è anche un atto politico: la democrazia è estremamente faticosa, si fa prima ad affidare tutto ad un solo uomo o ad una olligarchia ma, alla fine, si diventa tutti deboli, alla mercè dei pochi forti.
Fin da piccoli siamo impregnati di egoismo, antagonismo: “chi fa da sé fa per tre”, sempre di corsa, sempre in gara. Non a caso, di solito, gli eroi finiscono male. In realtà molte conquiste, quelle davvero significative nella storia, sono opera di gruppi creativi che però non sono raccontate. Ecco perché ho apprezzato queste storie raccontate da Michela Murgia.
Così viviamo questa contraddizione sulla nostra pelle: da una parte il mito del farsi da Sé e dall’altra tutte le teorie che ci vengono sciorinate negli uffici e nelle fabriche; Il lavoro di gruppo è esaltato “tutti per uno, uno per tutti” anche se l’intento è ancora una volta quello di farci diventare animali produttivi.
Il lavoro di squadra, le attività di gruppo davvero però sono quantomai auspicabili. Mettendosi al servizio del gruppo si raggiungono risultati inattesi e insperati e la risultante non è la somma del lavoro di tutti, ma qualcosa di speciale e di diverso. Le storie raccontate in questo libro sono consolanti, sono un balsamo per la nostra autostima: non serve essere SUPER eroi per conseguire risultati interessanti, per passare alla storia. Il crollo del muro di Berlino, l’enciclopediA WIKIPEDIA E ALTRE STORIE MENO NOTE, DIMOSTRANO CHE UN GRUPPO DI PERSONE DETERMINATO Può FARE LA FAMOSA DIFFERENZA.
Riporto uno stralcio di questo post. Non per nostalgia dei tempi andati: non credo a tempi migliori o peggiori. Solo credo che l’equilibrio sia una meta difficile da raggiungere ma importante. Quando devi scrivere e dare una risposta che viaggia per settimane o giorni, devi ragionarle per evitare fraintendimenti. Avete notato quanto sia facile essere fraintesi o fraintendere con un normale messaggino?
Quando non esistevano gli smartphone e l’adsl, le comunicazioni erano più lente e perciò i rapporti interpersonali suscitavano alcune emozioni forse sconosciute agli adolescenti di oggi. Incontrarsi con amiche e amici, darsi appuntamenti, rendersi rintracciabili erano tutte operazioni che avvenivano senza l’eterna presenza di cellulari, whatsapp e simili. Esisteva un’intensa vita di relazione, declinata in forme differenti rispetto al presente.
Ad esempio, non c’era l’opportunità di scattare fotografie in ogni secondo della propria esistenza e di postarle, a qualsiasi ora del giorno e della notte, su Instagram o Faccialibro. E forse è quasi superfluo aggiungere che non si perdeva tempo a fotografare infinite immagini di cibi e bevande – pizzette, calici di vino, piattini di pesce e alimenti vari. Non si sprecavano i limitati scatti delle vecchie pellicole per cose di questo genere: le fotografie, infatti, erano oggetti un po’ preziosi, proprio perché non immediatamente fruibili, e guardarle in compagnia costituiva un piccolo avvenimento. Il dato interessante è che non stiamo parlando di molti anni fa.
Ecco, qualche volta è bello e fonte di calde emozioni non poter avere tutto e subito.
COSA e’ IL CARISMA: CARISMATICI SI NASCE O SI Puo’ DIVENTARE?
Reagisco stimolato da un video: carismatici si nasce o lo si può diventare? Non mi riferisco al Carisma in senso religioso, che andrebbe approfondito meglio, ma psicologico: cioè quella capacità che ciascuno può avere o no di esercitare una attrazione sugli altri, influenzarli diventando un leader.
Secondo voi uno il carisma lo ha dalla nascita o può acquisirlo? Indipendentemente da ciò che ciascuno ne pensa, esiste una letteratura anche su questo. Vediamo in sintesi alcuni pilastri del carisma: 1 – Autostima: indica una certa sicurezza nei propri mezzi: il confidare nei propri mezzi, genera fiducia che attrae chi ne è carente. Una persona insicura non sarà certamente carismatica. Questa nei personaggi famosi magari può essere creata artificialmente dai midia 2 – Visione: le persone che riescono ad avere una visione, un progetto, una direzione di vita attirano a sè, perché vedono quello che gli altri non riescono proprio a vedere. Abbiamo personaggi come Nelson Mandela, Martin Luther King oppure visionari come Steve Jobs o Picasso. 3 – Costanza e determinazione: questi sono dotati di foloontà fuori dal comune e procedono oltre là dove le persone comuni si fermano. Penso a personaggi come Pietro Mennea, Alex Zanardi e molti altri che sono un esempio per molte generazioni. 4 – Azione: queste persone non solo parlano ma, agiscono, si coinvolgono e compromettono. Costoro riescono ad attrarre persone che possono portare avanti il loro progetto anche dopo di loro. Penso a don Bosco oppure a personaggi come Enzo Ferrari. 5 – Talento: ce lo vogliamo mettere il talento in una epoca in cui lo spontaneismo è al potere? Devi averlo o comunque lavorarci sopra ma soprattutto devi esserne consapevole. La consapevolezza determina la famosa vocazione: il sapere quale è la tua strada. 6 – Entusiasmo: se il capo comanda, il carismatico col suo entusiasmo coinvolge e ispira gli altri. L’entusiasta contagia le persone con le proprie emozioni e idee. Ma allora possiamo aumentare la nostra dose di carisma, ammesso che lo si voglia? Credo di si, credo che il nostro vivere abbia bisogno di carisma. In sintesi sono convinto che sia utile: 1 – lavorare sulle nostre convinzioni limitanti passando dal “non riesco” a “ce la posso fare”. 2 – Coltivare il dialogo interno sui nostri talenti. 3 – Lavorar e sul nostro stile particolare che ci rende, non migliori ma unici. 4 – Crearsi intorno una buona reputazione su ciò che facciamo, i luoghi che frequentiamo. 5 – Coltivare il senso dell’umorismo e l’autoironia. Prendere sul serio le nostre passioni e non rimanere vittime dei nostri errori: le prime restano, i secondi semplicemente accadono e passano. 6 – Circondarsi di persone fantastiche. Conoscere tutti ma frequentarne alcuni. 7 – Cercare di valorizzarsi sia con se stessi che con gli altri. In pratica l’arte del sapersi vendere in senso buono: dare valore anziché sminuire. Ovviamente ho scritto soprattutto per me, per tenere questi pilastri in debito conto e per poterci lavorare. Vediamo se qualcuno è riuscito ad arrivare fino alla fine di questo scritto: se ci siete riusciti, scrivetemelo nei commenti.
Persevero con gli elogi, è divertente trattarne. Ho già elogiato: diversità, https://vscarfia.com/2019/01/16/elogio-della-diversita/ noia https://vscarfia.com/2018/12/20/elogio-della-noia/ letteratura https://vscarfia.com/2019/01/19/elogio-della-letteratura/ Ora è la volta dell’ascolto, da tutti elogiato, appunto, ma poco praticato: eppure la pratica dell’ascolto talvolta, anzi spesso, può fare miracoli, certamente più dell’aggressività. Mi hanno, per così dire, ispirato per questo articolo, 2 video del solito youtube: il primo di Giovanni Benvenuto https://www.youtube.com/watch?v=hdz9ZsJVH_o e il secondo di Roberto Mercadini https://www.youtube.com/watch?v=VHlBt6uaz4M Nel primo, possiamo apprezzare il racconto della miracolosa esperienza di Jeffrey Brown, un noto predicatore statunitense; mentre nel secondo, ci viene raccontata l’originale esperienza di John Cage, musicista contemporaneo. Cominciamo dal secondo, giusto per fare diverso. J. Cage è stato un musicista di musica contemporanea, quel tipo di musica che non scalerebbe di certo le classifiche di gradimento, affascinato dall’ascolto di tutti i rumori possibili al punto che ha sperimentato la camera anecoica per sentire i rumori creati dal suo corpo. Conosciuto anche per alcune performances dove faceva minuti di silenzio per far emergere i rumori del pubblico: i colpettti di tosse, le caramelle scartate ecc. L’ascolto come esperienza anche artistica può diventare motivo di approfondimento. Passiamo a J. Brown: lo vediamo testimone nell’attentato a Martin Luther King e alle prese con una violenza giovanile fuori controllo in quei tempi a Boston. Predica la pace, e lo fa bene, è un predicatore battista, ma nessuno va ad ascoltare le sue omelie. Decide allora di andare per strada per incontrare quei ragazzi di notte ma, anche cosI, non accade praticcamente nulla. E allora lui fa una cosa che i predicatori non sono soliti fare: va ad ascoltare le loro rimostranze. Finalmente accade il miracolo: i casi di violenza diminuiscono drasticamente del 79%. Raccontando questo episodio, Emil Calvi nel suo libro (il potere emotivo dei gesti), elenca 5 modalità dalle quali si evince che nella gestione dei conflitti l’ascolto è vincente. 1 – l’ascolto genera fiducia: nei conflitti, cerchiamo di detenere il potere, argomentando, interrompendo gridando più forte; mentre se ascoltiamo, apparentemente cediamo potere ma acquistiamo potenza. 2 – ascoltando, acquisiamo elementi che ci aiuteranno a trovare la soluzione del conflitto. Spesso siamo prevenuti, crediamo di sapere dove si vuole arrivare e come si dovrà fare quando ancora non abbiamo capito le ragioni dell’aggressività dell’altro. 3 – ascoltando smetteremo di vedere l’altro come un probblema per noi. Potremo passare finalmente dall’Io contro di Te, al Noi che insieme troviamo una via. 4 – Chi si sente ascoltato, è più incline ad ascoltare a sua volta. 5 – Ascoltando, insieme si cercherà di trovare una soluzione condivisa e l’altro sarà in grado di accettare un compromesso che prima non avrebbe accettato. Se l’atro percepirà il fatto che ha preso parte alla soluzione, si sentirà valorizzato e responsabile di un eventuale fallimento. L’ascolto dunque è un grande valore: beato chi lo saprà utilizzare. Noi sappiamo ascoltare? https://vscarfia.com/2018/11/17/non-sappiamo-ascoltare/
Solitamente gli ultimi giorni dell’anno sono dedicati ai bilanci, e io non sfuggo a questa consuetudine, anche per fare mente locale: capire cosa si è fatto e cosa resta ancora da fare; molto, ovviamente. La novità più eclatante è questo nuovo ministero per la famiglia e le disabilità con un aumento di 100 milioni ain bilancio e alcune pensioni che, a certe condizioni potranno essere portate a 780 euro. Il ministero può piacere o no ma, ora esiste e dovremo verificare se e quanto sarà utile: al momento si è appena insediato. Il “piccolo aumento”. 100 milioni in più per la non autosufficienza: l’aumento del fondo è la buona notizia che la legge di bilancio contiene e destina alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Il fondo per il 2018 – lo ricordiamo – ammontava a 462,2 milioni di euro, di cui 447,2 destinati alle regioni, 15 al ministero delle Politiche sociali. La relativa proposta di decreto di ripartizione delle risorse è stata presentata a fine ottobre alla Conferenza unificata. Con l’incremento previsto dalla legge di bilancio, la somma arriverebbe quindi a quasi 600 milioni. Per alcune associazioni, “uno sforzo irrisorio”, che andrebbe incrementato. Il reddito di cittadinanza dovrebbe partire a febbraio del 2019, con un decreto atteso in gennaio che dovrà determinare limiti e paletti, credo molto stringenti. Nella cultura in generale il tema della disabilità si fa lentamente strada imponendosi nei libri, in tv, nei film e in passerella. Così abbiamo un fiorire di libri, film di registi e associazioni, comparse di disabili in tv: una lenta affermazione registrata da qualche anno. Anche le paraolimpiadi hanno avuto una eco maggiore e le l’edizione invernale in Corea ha visto la partecipazione di 567 atleti provenienti da 49 diverse delegazioni; più delle scorse edizioni. Passiamo ora però alle aspettative disattese. Nulla di fatto sulla legge sul caregiver familiare, nonostante sia stata invocata da numerose associazioni che tutelano i diritti dei disabili. La riforma del sostegno, è ancora lontana. L’inclusione scolastica, malgrado le promesse, non ha ancora visto una riforma che a fine 2018 ha subito una battuta d’arresto, anche se il governo sostiene che sarà varata nel 2019. Delusione anche per il piano non autosufficienza. Il tavolo interministeriale è stato costituito ma a tutt’oggi non ha ancora elaborato un piano strutturale, nè si conosce l’ammontare delle risorse disponibili. Naturalmente si prevedono azioni di protesta.
L’uso delle tecnologie di riconoscimento facciale in aree sensibili come la giustizia criminale o la salute dovrebbe essere regolamentato, sostiene l’Istituto AI Now nel suo ultimo rapporto sull’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società.
Conosciamo tutti il potere dirompente delle parole? sappiamo gestirlo questo potere fermandoci prima della catastrofe?
Credo proprio di no: utiliziamo le parole troppo, male e a sproposito. I linguisti ci raccontano che il nostro lessico è sempre più povero e contaminato; a volte addirittura disconosciamo il significato delle parole che utiliziamo e generiamo fraintendimenti che scatenano la nostra aggressività. Quante volte diciamo “io dico sempre quello che penso, non sono mica un ipocrita”! oppure, “io sono uno che si arrabbia subito, ma poi gli passa”,sfoderando la spada della parola ferendo indiscriminatamente, soprattutto le persone che più amiamo. Quante famiglie traumatizzate e divise irrimediabilmente da un solco di parole pronunciate con violenza senza freni. E quante situazioni salvate da qualcuno che si è fermato in tempo frenando il fiume di parole che aveva dentro, bloccando situazioni incresciose. Siamo sicuri che le persone dicono sempre ciò che pensano? sarebbe un vero guaio: provate ad immaginare un mondo dove si manifestano tranquillamente tutti i pensieri!
Le parole sono chiodi dunque, lasciano un segno e spesso le richieste di perdono non possono più essere ricevute, ci si è spinti troppo oltre. Non parliamo poi delle parole che, vomitate nei social, distruggono reputazioni, instillano dubbi, causano divisioni insanabili, che meriterebbero approfondimenti ulteriori.
Per fortuna le parole possono anche sanare, ricostruire, recuperare, riunire. Tutto dipende dall’utilizzo che ne facciamo, dal nostro cuore; la parola è un semplice strumento nelle nostre mani. Cerchiamo, per quanto ci è possibile, di porre una maggiore attenzione all’impiego che ne facciamo. Ricordiamocene quando ci relazioniamo con i nostri cari, quando affrontiamo persone che non sono propriamente empatiche. un po’ di diplomazia e soprattutto la gentilezza conquistano più della violenza e dell’aggressività.